Pubblichiamo l’intervista realizzata a Giampiero Cito e Antonio Paolo di Milc in occasione dell’evento di presentazione del progetto Italia Caput Mundi.

1. Mad in Italy! non è solo un progetto. Oggi costituisce una vera e propria rete composita, costituita da oltre 200 aziende “folli”, 60 curricula di giovani che cercano lavoro in Italia, ambasciatori in quasi tutte le regioni italiane; tanti i sostenitori e i partner. Costruire un network – si sa – non è cosa semplice. Ma nonostante questo, oggi, passate ad un’altra fase, ITALIA CAPUT MUNDI, che si pone un’obiettivo altrettanto ambizioso: costruire una rete di servizi per sostenere la leadership italiana. Ve lo chiediamo schiettamente: chi ve lo fa fare?
E schiettamente vi rispondiamo: ogni tanto ce lo chiediamo anche noi!
Battute a parte, il percorso iniziato con Mad in Italy non si poteva arrestare. Occorreva uno spingersi oltre con uno sviluppo del progetto per dare una risposta reale a quanto abbiamo iniziato a fare con Mad in Italy: passare da una pura valorizzazione dell’imprenditore italiano ad un sostegno concreto a quelle imprese (e quindi imprenditori) che con le loro produzioni (e quindi con le loro idee) portano il sistema produttivo italiano ai vertici del commercio internazionale.

2. Come è possibile fare questo solo attraverso un progetto che primariamente è un progetto di comunicazione?
Fare comunicazione, oggi, per tutti (imprese, brand, istituzioni, professionisti ecc.), non significa più partire da un posizionamento su una mappa concettuale, ma significa prendere una posizione culturale, sociale, ideale. E noi crediamo di averlo fatto con Milc, l’agenzia che è la “famiglia” creativa dei progetti che partono da Mettiamocilatesta fino ad Italia Caput Mundi.

Stiamo infatti cercando di dimostrare che una comunicazione credibile, rilevante ed emozionalmente coinvolgente, una comunicazione che porti cioè all’adesione vera, al coinvolgimento, alla partecipazione, debba uscire dagli sterili steccati della persuasione, della manipolazione, dell’unilateralità, debba smettere di cercare soltanto di stupire con soluzioni creative ad effetto, ma debba sposare un ideale, creare un movimento, essere utile per la società, per il mondo. Deve fiutare lo Zeitgeist e farsene interprete credibile, generando identificazione attraverso azioni concrete che costruiscano relazioni ed esperienze comuni. Con Italia Caput Mundi noi vorremmo contagiare con questa visione anche il mondo dell’impresa italiana, portandola a sposare sempre di più un approccio coopetitivo, in cui la sana competizione si leghi indissolubilmente alla condivisione di conoscenze, ad un “fare sistema” vero e non solo dichiarato; con l’obiettivo di continuare sì a competere ma per rafforzare ed estendere la leadership dei prodotti italiani nei mercati internazionali. Ed è per questo che noi stiamo cercando di diffondere un approccio coopetitivo a partire dalla creazione di una rete di sostegno, in cui alcuni player importanti nella fornitura di servizi e consulenze alle imprese possano offrire soluzioni dedicate alle aziende presenti nella “mappa degli eccellenti” di Italia Caput Mundi.

3. Nell’espressione che da’ nome a questa nuova fase del progetto – Italia Caput Mundi – oltre ad un’Italia che primeggia nel contesto economico internazionale, avete evidenziato più volte la centralità della parola “caput”. Quanti significati ha per voi questa keyword? Quanto è fondamentale partire dal caput per un’impresa che riesce a fare business in Italia?
Chi ci segue fin dai tempi di Mettiamocilatesta non può non aver notato che la figura della “testa” è un fil rouge, un elemento figurativo isotopico (come si direbbe in semiotica), che accomuna la comunicazione dei nostri progetti: le teste decapitate, il cervello che tenta la fuga trattenuto da una corda, il termine “caput” che giganteggia nella nostra ultima campagna. Questo perché la testa è la sede del pensiero, e quindi dell’idea. E l’idea è il nostro pane quotidiano. “Caput” è la testa pensante degli imprenditori italiani.“Caput” sono le teste di chi mette insieme il proprio pensiero per tentare di uscire al più presto da questo momento difficile, magari rafforzati e maggiormente consapevoli. “Caput” vuole essere il principio di qualcosa, la “testa” di un nuovo movimento culturale, di un nuovo approccio alla valorizzazione del “genio italiano” che non si esaurisca in una sterile e scontata retorica.

4. Il progetto Mad in Italy ha già consentito di realizzare un libro in cui 15 imprenditori “folli” si raccontano e trasformano la propria storia in consigli utili alla realizzazione delle idee di impresa nel nostro Paese. Italia Caput Mundi inizia con una lunga ricerca per un bacino di oltre 4500 aziende che ha portato alla elaborazione della mappa delle eccellenze italiane. Quali i prossimi obiettivi concreti del progetto?
Stiamo cercando di costruire una rete di partner per sostenere le imprese che producono prodotti leader attraverso condizioni di accesso a servizi e consulenze formulate ad hoc. Non si tratterà soltanto di sconti e offerte speciali, ma soprattutto di soluzioni che possano facilitare ed incrementare il vantaggio competitivo e l’efficienza del business delle imprese. Si pensi ad esempio all’opportunità di rendere visibili i propri prodotti in un marketplace digitale, ad essere guidati nell’intraprendere concretamente percorsi di efficientamento energetico, a ricevere formazione. Ma non ci fermeremo qui. Abbiamo in cantiere una idea attraverso la quale vorremmo diventare per un certo periodo gli “etnografi” dell’impresa italiana, andando ad osservare direttamente sul campo le realtà che sono finite sulla mappa di Italia Caput Mundi. Ma non possiamo anticiparvi altro!

5. Italia Caput Mundi basa la propria forza su tre focus: imprese, formazione e comunicazione. Quanto devono essere forti e dinamici i rapporti tra questi tre elementi? Come la formazione alla cultura d’impresa deve essere rafforzata in un Paese come l’Italia?
Non ci può essere impresa senza comunicazione, non ci può essere comunicazione (chiaramente nel senso in cui la intendiamo noi) senza impresa, e non ci possono essere impresa e comunicazione senza formazione (continua). Dunque questi tre elementi devono entrare strettamente in relazione a partire dai luoghi deputati propriamente alla formazione. L’Italia ha ancora tanto bisogno di rafforzare la propria cultura di impresa. Dobbiamo cominciare a vedere sempre di più l’imprenditore italiano come un vero creativo, un autentico maker (termine tanto in voga in questi giorni) cioè uno che fa perché sa come e cosa fare. Ma soprattutto dobbiamo cominciare a considerare l’imprenditore e l’impresa come soggetti che rivestono un ruolo sociale importantissimo. Le imprese danno lavoro, arricchiscono i territori, fanno innovazione, migliorano la vita di tutti. È giunto il momento di smettere definitivamente di guardare all’imprenditore come un egocentrico individualista che mira solo ad arricchire se stesso a scapito delle comunità in cui opera. In alcuni casi questa è una reputazione che qualche imprenditore deve ancora riuscire ad estirpare dimostrandolo con i fatti. Ma possiamo affermare, avendo conosciuto grazie a Mad in Italy molti imprenditori, che la maggioranza è molto lontana da quella caricatura stereotipata di cui sopra. Insomma, la cultura di impresa va coltivata a partire dai luoghi di formazione non solo universitaria, ma persino scolastica. Il Master in Comunicazione di Impresa, che ci ha fornito un supporto insostituibile nella realizzazione di Italia Caput Mundi, è un luogo che questa cultura la coltiva e la trasmette fondandosi proprio sui tre pilastri citati nella domanda: impresa, comunicazione, formazione.