Pubblichiamo il post di Angela Salis, partecipante alla X edizione del Master.

Segnatevi questo tempo, 3 minuti e 36 secondi. Adesso mettevi comodi e dimenticatevi di tutto, perché rimarrete ipnotizzati e letteralmente con il fiato sospeso di fronte a “The tale of Thomas Burberry”, la campagna pubblicitaria natalizia 2016 del marchio di alta moda Burberry.

Per l’occasione la maison ha deciso di far indossare al consueto e atteso spot natalizio l’abito della festa, proponendo un appassionato short film, scritto da Matt Charman e diretto dal regista Premio Oscar Asif Kapadia, autore di Amy, docu-film dedicato alla vita tormentata della cantante Amy Winehouse.

La dinastia avanza ed è quasi un obbligo rendere omaggio al fondatore nell’anno in cui si spengono 160 candeline, dopo tutto noblesse oblige.

Questo pattinato Christmas tale, di atmosfera natalizia ha molto poco. La dimensione del natale o meglio dei natali risuona però appieno nella celebrazione di Thomas: il fondatore, il pioniere, il visionario, l’uomo da cui tutto ha avuto inizio.

Che cos’è “The tale of Thomas Burberry”? Forse la trasposizione visiva del mito di fondazione dell’azienda? Un omaggio al genio di un uomo il cui cognome è diventato il sinonimo di un capo d’abbigliamento? La forma animata di un credo, di un’adesione ad alcuni valori e di una dichiarazione d’intenti? Tutto questo e molto altro.

Andiamo con ordine. Prima di tutto è uno spot pubblicitario, fa parte della galassia dell’advertisement.

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Ha forma di un movie trailer e la sua trama sembrerebbe rimandare ad un film prossimo all’uscita nelle sale cinematografiche.

Il protagonista indiscusso della trama è Thomas Burberry e alcuni episodi salienti della sua vita, tra realtà e finzione, che hanno segnato la storia dell’azienda che porta il suo nome.

Nell’ordine, ovvero, è il caso di dirlo, da copione: la scoperta della gabardine, l’incontro con una donna bellissima che diventerà sua moglie, l’utilizzo del nuovo tessuto per le divise dell’esercito inglese, durante la prima guerra mondiale, e per gli abiti delle spedizioni antartiche dell’esploratore, avventuriero e mecenate Sir Ernest Shackleton e del suo equipaggio. L’uso del trench da parte dell’aviatrice Betty Dawson, una figura di fantasia ispirata alla reale Betty Kirby-Green, che, su di un aereo chiamato “The Burberry”, nel 1937 infranse il record del mondo per un volo di andata e ritorno dall’Inghilterra a Città del Capo.

La commistione pubblicità-cinema suggerisce quasi la scelta di un cast composto da attori professionisti: Domhnall Gleeson interpreta Thomas Burberry, Sienna Miller è la donna che gli ruba il cuore, Dominic West è Sir Shackleton, Lily James, già testimonial di My Burberry Black, la nuova fragranza della casa, per l’occasione presta il suo volto a Betty Kirby-Green.

Ad essere stellare, a quanto pare, non è soltanto il cast, ma prima di tutto la guerra di pubblicità che nel periodo natalizio le case di lusso, metaforicamente, intraprendono tra loro. Nella “Star Wars” 2016, Burberry dimostra che “The Empire strikes back” (L’impero colpisce ancora).

La guerra si svolge tutta sul piano emozionale, quello sul quale il consumatore è più vulnerabile. Non si tratta di scoperte di neuro-marketing all’avanguardia ma di immaginario, fecondo e ispirante.

I dialoghi propongono parole sapientemente soppesate. La parabola ispirazionale è crescente: prende le mosse dall’infanzia “No one sees the world like my Tom”, giunge all’età adulta “People come to me with their own dreams. And I help bring them to life” ed infine lo scettro del protagonista scenico viene passato idealmente allo spettatore con la domanda “And what about your own dream?”, che crea un cortocircuito di individuazione tra Tom e chiunque stia guardando la pubblicità.

La colonna sonora è parte integrante della trama. Qui nessuno “Vuò fa’ l’americano” per essere cool, perché il trench è la quinta essenza del british style. Non aspettatevi un boogie woogie. Si entra in scena con le note di “Take you there” di Weyes Blood, che porta lo spettatore a tu per tu con il protagonista. Le immagini scorrono a ritmo serrato in un climax ascendente, sonoro ed emozionale che, sembrerebbe per la legge del contrappasso, segue la melodia di una canzone intitolata “Diminuendo” (Lawless feat. Britt Warner).

Gli elementi dello storytelling ci sono tutti, heritage e spinta al futuro sono in equilibrio.

Lo spot è così bello che le richieste per un seguito, ovvero un film, animano ormai da giorni i social network.

The Tale of Thomas Burberry, per un certo verso, si iscrive in una tradizione. Non è la prima volta che cinema e pubblicità propongono un prezioso connubio. Più volte registi famosi hanno ceduto alla tentazione di girare uno spot, lasciando la propria impronta sulla pellicola e sulle menti degli spettatori-consumatori.

Fino a che punto la fusione tra pubblicità e cinema si potrà spingere? Quali sono le nuove sfide di un tipo di comunicazione che sembra ormai in declino? Per attirare i nuovi prosumer sarà sufficiente ed efficace chiedere aiuto alla settima arte?

Intanto per trovare un minimo di ispirazione, possiamo riguardare lo spot, e capire che alla domanda “What is it?” c’è soltanto una risposta: “It’s what you’ve been looking for”.