Pubblichiamo l’intervista di Jacopo Pasquini alla Prof.ssa Andreina Mandelli, docente del modulo Social media per la comunicazione corporate e di marketingnell’area disciplinare “Web Marketing, Social media marketing, Comunicazione on line.

Andreina MandelliNel tuo nuovissimo libro “Social Mobile Marketing” scritto insieme a Cosimo Accoto, è evidente e ricorrente la tesi che gli Ubiquitous Social Media non sono strumenti di marketing da attivare/disattivare nel mix di comunicazione ma vanno considerati, invece, come un vero e proprio approccio metodologico di marketing. Quanto sono pronte le marche italiane a raccogliere questa sfida imposta dal cambiamento?
Credo che non solo le marche italiane ma tutte le marche stiano facendo un pò fatica a rinnovare il modo di pensare alla relazione con i consumatori, in linea con le le nuove possibilità di creazione di valore offerte dagli ambienti di comunicazione continuamente e ubiquamente supportati dalla rete.

Come mai secondo te, nonostante si parli ormai da anni degli effetti della conversazione online sul branding e nonostante i software dedicati si moltiplicano, si verificano sistematicamente crisi reputazionali amplificate sui social media dalla scarsa capacità di ascolto piuttosto che da un approccio errato alla digital communication?
Credo che come dici tu ci sia una difficoltà ad ascoltare ma anche a capire i nuovi principi di management della relazione. A volte anche la retorica che ruota attorno ai social media aiuta poco. L’insistenza sul concetto del “give-up control” (abbandono del controllo sulla marca) non accompagnata da una seria riflessione su come fare a gestire al meglio i propri investimenti e cercare di raggiungere i propri obiettivi di business può portare confusione e incertezza. “Give up control” deve voler dire abbandono dell’idea che la marca sia una cosa di proprietà dell’azienda, per abbracciare una prospettiva che metta i significati e le esperienze di marca al centro della collaborazione e delle interazioni tra l’azienda e i consumatori. Non deve voler dire che non ci prepariamo a gestire le incertezze e la complessità di una comunicazione di marca multivocale e destrutturata. Prepararsi agli incontri/esperienze di marca, come diciamo anche nel nostro libro “Social mobile marketing”, vuol dire pianificare come vogliamo arrivare noi a questi incontri, vuol dire prepararsi a gestire le incertezze/emergenze comunicative e relazionali, e vuol dire attrezzarsi per partecipare al meglio alla vita sociale della marca (incontri, esperienze, comunità). L’ascolto è una parte importantissima del nuovo quadro di management del brand (e deve essere reale, non burocratico), ma non basta. Oltre all’ “ascolto continuo e ubiquo”, bisogna avere una chiara strategia relazionale con i clienti ma anche con gli altri stakeholder, dei piani di attività in linea con questa strategia, dei “recovery and contingency plan” per affrontare le criticità di servizio e relazionali, e – infine – delle capacità strategiche (communication-based) su cui tutta l’organizzazione investe.

Uno dei must per misurare la brand reputation è considerato oggi il continuo monitoraggio, soprattuto online, delle conversazioni relative al brand. Ma com’è possibile – sempre se è possibile – misurare e quantificare il valore complessivo degli scambi conversazionali?
Io non sono d’accordo (e questo è il tema di diversi paper accademici che ho scritto sull’ argomento) che la brand reputation possa essere misurata facendo semplicemente monitoraggio delle conversazioni. Ne sto facendo da qualche anno una specie di battaglia culturale, perchè credo sia un argomento rilevante, sia per la ricerca accademica che professionale. La reputation è l’output (in termini di social standing) di un processo complesso in cui la comunicazione tra peers (le conversazioni) hanno un ruolo importante, ma non si può confondere la reputazione, anche se moltissimi lo fanno, con queste conversazioni. Si rischia di prendere dei granchi (arrivare a conclusioni sbagliate), come è stato nel caso “Toyota recall “, che abbiamo analizzato come gruppo di ricerca. La reputation si misura come aggregazione di attitudini degli stakeholder verso la marca, influenzate da percezioni (brand image) su aspetti rilevanti della sua attività. Le percezioni e le attitudini sono output cumulati e complessi di processi nei quali la comunicazione (inclusa la comunicazione tra peers) ha un’influenza rilevante. Le modificazioni nella brand image e nelle attitudini si misurano quantitativamente attraverso surveys. Le influenze comunicative sulle percezioni e attitudini si misurano stabilendo correlazioni tra i contenuti di queste comunicazioni e le variazioni delle percezioni/attitudini. Questo è quello che ci insegna la teoria e le metodologie di ricerca in comunicazione; le scorciatoie (confondere il monitoraggio delle conversazioni con la reputation), non aiutano molto chi deve fare reputation management.